La Cina come seconda Casa

27022122_famed_skyline_of_hong_kong_from_victoria_peak_image_shot_2012_exact_date_unknownd7yjf5_fame-xlargePer un periodo della mia vita lo è quasi stata.

Dopo aver sorseggiato un bicchiere di buon vino rosso all’Aeroporto di Nice Côte d’Azur o di Milano, salivo sull’aereo che mi avrebbe portato in un Oriente industriale e coinvolgente, dove sarei stato per parecchi giorni. Tutto ciò più volte l’anno. Sapevo che non avrei fatto ritorno a casa per circa un mese, soprattutto le prime volte, quando tutto era da chiarire e da decodificare. E da scoprire.

Si perché la Cina sa disorientarti.

Ho sempre viaggiato molto per lavoro ma luoghi come la sovrappopolata Hong Kong sono unici al mondo: negozi aperti 24 ore su 24 e lo stesso numero di gente che incontri alle 14:00 pomeridiane lo puoi notare alle 3:00 del mattino come se non ci fosse alcuna differenza. Luci, colori, suoni, mercati ti stordiscono. Gente che propone, donne che si svendono, bambini e animali che ti corrono tra le gambe.

La mia tappa principale era Zhuhai, nome tradotto in “Mare delle Perle”, nella provincia del Guandong, una delle prime zone economiche speciali dagli anni ’80 create dalla Repubblica Popolare Cinese, dove grazie ad un traghetto stracolmo di persone, arrivavo passando per la frontiera di Macao. Un momento straziante nel quale, per ore, bisognava attendere nel marasma più assurdo la concessione a passare.

Non era solo il jet-leg a disorientarmi.

I tassisti frenetici e, oserei dire irresponsabili, troppo abituati, mi facevano avvinghiare al sedile ma dai finestrini di quelle auto e dai vetri del mio appartamento potevo osservare il mare che circonda quella città e sentirmi a casa.

I profumi che mi svolazzano attorno erano differenti da quelli che ero abituato a percepire e spesso la malinconia mi pervadeva quasi fosse un odore anch’essa. Mi mancavano gli amici, i genitori, il mio tran tran quotidiano. Lì tutto viaggiava a mille chilometri orari come l’aereo che avevo preso per arrivarci.

Andavo in Cina perché ai tempi mi occupavo di videogiochi e accessori del mondo dei games virtuali e si dovevano allestire padiglioni in fiera, visitare le fabbriche, vendere, prendere accordi con altri marketing manager, a volte anche fino a tarda notte, dove la tarda notte non esiste.

Poi finalmente si poteva staccare, si poteva andare a mangiare una buona cena; ricordo con piacere il “The Peak” di Hong Kong, locale ultra suggestivo nel quale c’era la possibilità di gustare tutte le cucine del mondo, che mi permetteva di vedere la città circostante, un panorama mozzafiato e, finito il pasto, potevamo pensare a divertirci e rilassarci un po’.

Si era liberi, sotto certi punti di vista, lontano da casa, lontano da giudizi e sottomissioni.

Mi è capitato di dovermi anche spostare da quello stato incredibile e raggiungere l’India e la California e, in quei momenti, il mondo sembrava davvero girare vorticosamente.

La passeggiata a mare di Zhuhai è lunghissima e molto ampia: mi permetteva di camminare e pensare nei rari momenti di libertà. Mi permetteva di respirare la salsedine e sentire sul viso lo stesso vento che avrei potuto percepire in Italia. Ero frastornato, soprattutto le prime volte. Venivo come inghiottito in un vortice che si era impadronito di me e quasi non riuscivo a starci dietro.

Ricordo con stupore i bassi prezzi, veramente miseri a confronto dei nostri. Il barbiere, il sarto, il negoziante, ti offrivano servizi a cifre esigue ma devo dire che ho sempre incontrato scrupolo nonostante il loro rinomato ma simpatico menefreghismo.

Le prime volte venni disturbato da quella che ritenevo una forma di maleducazione da parte dei cinesi, il loro modo di vivere era completante differente dal mio ma, col passar del tempo, mi resi conto che probabilmente siamo noi ad avere troppi schemi mentali. Insomma ci sarebbe voluta la via di mezzo come in tutte le cose.

Era strano essere lì e chissà se lo sarà di nuovo dal momento che ora è qualche tempo che non vado.

Non saprò mai dire se questa Cina alla fine mi è piaciuta oppure no, mi ha confuso, o forse mi ha confuso il modo in cui l’ho dovuta vivere ai tempi. Una cosa è certa: non la dimenticherò mai.

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